UN MITO TUTTO ITALIANO
È uno dei pochi miti enoici del Belpaese, il suo vino è finito nei calici dei personaggi più influenti del mondo ed è l’unico italiano nell’elenco dei dodici vini del ventesimo secolo di Wine Spectator. Ma, soprattutto, è la famiglia che nella seconda metà dell’Ottocento ha inventato il Brunello di Montalcino, una delle denominazioni più conosciute e simbolo del Made in Italy. È una storia di formidabile successo, quella dei Biondi Santi, una storia di sette generazioni dove ciascuna ha offerto il proprio contributo.
“Questo è il primo concetto importante – spiega l’amministratore delegato Giampiero Bertolini – ogni personaggio della famiglia ha lasciato qualcosa di significativo per l’azienda e per Montalcino”.
LEGAME CON IL TERRITORIO
Poche situazioni vitivinicole al mondo hanno un legame così forte e amalgamante.
La storia inizia da un farmacista, un certo Clemente Santi, che più della medicina poté seguire la vigna e poi il vino, vista la passione e la dedizione che ci dedicò. Erano i primi decenni del 1800 e Clemente si dava da fare con le quattro uve del dominante Chianti: Sangiovese, Canaiolo, Trebbiano e Malvasia, a cui si se ne aggiungevano, in quel colle, il Colorino, il Tenerone e il Gorgottesco, vitigni quest’ultimi dalla nomea non così linda per la produzione di vino potabile. Gia negli ultimi anni del 1800, il rosso di Clemente viene premiato più volte ma ancora nessuna traccia del nome “Brunello“.
FERRUCCIO BIONDI SANTI
Dal matrimonio di Caterina Santi e Jacopo Biondi nacque Ferruccio. Egli si distinse come garibaldino, era il 1866, poi rientrando a Montalcino, alla fattoria del Greppo, proseguì gli esperimenti in vigna e in cantina del nonno, focalizzandosi sul Sangiovese e selezionando infine quello che diventerà il Sangiovese Grosso e poi il Brunello. Nelle vigne del Greppo studiò a fondo quelle piante che resistevano più all’oidio, così quando la fillossera si catapultò anche a Montalcino, lui innestò quella sua selezione di Sangiovese su piede americano e concretizzò definitivamente la nascita del Brunello.
L’idea enologica di Ferruccio non ebbe molti seguaci, il terreno ilcinese era pietroso e duro da lavorare, la vigna rendeva poco, erano più redditizie altre attività agricole.
TANCREDI BIONDI SANTI
L’avvento del figlio di Ferruccio, Tancredi, dette una scossa strategica al Brunello. Innanzitutto Tancredi non era un praticone di campagna, era diplomato alla scuola di enologia di Conegliano e poi prese la laurea all’Università di Pisa in scienze agrarie. Alla morte del padre, Tancredi si tenne il Greppo e continuò l’opera di impreziosimento viticolo del Greppo e del suo Sangiovese grosso. Egli diede anche un impulso particolare al territorio, fondando verso la fine degli anni 20 la Biondi-Santi & C. Cantina Sociale.
FRANCO BIONDI SANTI
All’arrivo di Franco Biondi-Santi, anche lui enologo, la cura per le vigne ormai quasi cinquantenarie diventò maniacale, con la stessa rigida fermezza si rifiutò di usare le barrique e continuò a impiegare solo lieviti indigeni.
«Il mio Sangiovese è naturalmente tannico, non ha bisogno dei tannini del legno», così parlava Franco e aggiungeva che «il mio Sangiovese deve restare con la propria neutralità, che è il suo terroir, e non arricchirsi della tostatura e della vaniglia del legno nuovo».
Questa filosofia ancestrale e familiarmente tradizionale è ormai un caposaldo non rinunciabile del Sangiovese per Brunello, l’aver custodito questa linea enologica può essere considerata una vera e propria ciambella di salvataggio nel mare dei vitigni internazionali che sono calati in tutta la Toscana. Con Biondi-Santi si fa un salto indietro di ottanta anni. Adesso ci sono Jacopo e Alessandra, niente sembra si sia interrotto da quel 1870, e tutto scorre velocemente a protezione di una storia che è il cuore di se stessa.
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